Il fascino discreto della corruzione di Mario Grossi

Il fascino discreto della corruzione di Mario Grossi
Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte
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In un momento della nostra storia politica, in cui corrotti e corruttori escono allo scoperto sempre più esplicitamente, forse bisognerebbe interrogarsi sul senso della corruzione. Così come sarebbe venuto il momento di porre seriamente la questione, proprio quando, di fronte a questi episodi sempre più rilevanti, i paladini della pulizia morale si ergono a bastioni contro la cancrena dilagante. Di fronte all’ambigua contrapposizione che vede da un lato i corrotti, emissari di ogni male e dall’altro i puri, i ”catari” dell’incorruttibilità, senza pregiudizi, ci si dovrebbe interrogare a partire da una domanda che può apparire provocatoria e che suona così: ”E se la corruzione fosse il motore del mondo?” A porci questa domanda, in apparenza bizzarra, è Gaspard Koenig che ha scritto Il fascino discreto della corruzione edito da Bompiani.

Il punto di partenza del saggio pone immediatamente una delle questioni che, se non si vogliono fare affermazioni consolatorie, è sotto gli occhi di tutti. La corruzione ”è un fenomeno più difficile da individuare di quanto si pensi. È dappertutto e non è da nessuna parte. La si condanna da lontano, la si incoraggia da vicino”.
La prima cosa da fare è rendersi conto che la corruzione non è solo quella evidente delle tangenti, delle bustarelle, della concussione, della sottrazione di fondi pubblici, dell’abuso di potere. La corruzione è fatta anche, e soprattutto, di nepotismo, di favoritismo. E il passaggio tra le sue varie forme è impercettibile. Spesso comincia e si fonda su un semplice atto di cortesia che si rende a un amico.

La prima parte del libro è riservata a definire la sua onnipresenza. Affermare che la corruzione è universale sembra quasi banale. Non esiste epoca storica che ne sia esente, tanto che si potrebbe affermare che accompagna l’umanità fin dai suoi albori.

L’insieme degli esempi descritti porta, in buona sostanza, ad affermare che la corruzione è un sistema diffuso di scambio che permette a tutti quelli che ne fanno parte di crescere e di far crescere l’intera società.

Esistono due diverse forme di corruzione. La prima è quella di tipo africano, dove il despota di turno, preleva ricchezze al suo paese e la deposita in qualche banca compiacente estera, di fatto depauperando le risorse nazionali al solo fine dell’arricchimento personale. Ne esiste una seconda incarnata, in uno degli esempi, da Mitterand, ma prima di lui vengono presi in esame altre personalità storiche tra cui Talleyrand, che invece è tutta concentrata sul reinvestimento per la società tutta. Certo il corrotto e la sua cricca ne beneficiano in prima persona, ma ad avvantaggiarsene sono poi un po’ tutti quelli che sono inseriti nel sistema.

Il problema è solo di dimensioni e di quanto larga sia la cerchia della corruzione. Se, per assurdo, tutti sono inseriti nel sistema, che è corrotto, in qualche modo ne approfittano per i loro affari. S’innesca in questo modo un meccanismo che porta alla crescita di tutta la società che parte dall’azione benefica dei corrotti che creano un volano che arricchisce tutti.

Se ne deducono due principi: ”i corrotti (di questa seconda specie) sono delle persone rispettabili” e la seconda più scioccante della prima: ”le persone rispettabili sono corrotte”, tanto da poter dire che la rispettabilità abbia a che fare con la corruzione. Chi ne fa le spese ovviamente sono coloro che, in misura diversa, si sono posti al di fuori del sistema: gli incorruttibili, i ”puri”.

”Sono i santi e i folli, che si tengono a distanza dalla società. Sono i funzionari modello e i topi di biblioteca. In breve tutti coloro che, in un modo o nell’altro, rifiutano di essere connessi con chi gli sta intorno e cercano di isolarsi dalle influenze esterne… E che cos’è rifiutare il sistema, se non diventare un atomo, una cellula ermetica che sfugge alla rete gigantesca di relazioni del mondo sociale e biologico? Un sogno autistico…”.
Ogni corrotto porta in sé quella prodigalità che significa saper spendere, saper dare.

In fin dei conti non si ricevono mai dei favori senza crearsi dei debiti; non si contraccambiano mai senza riconoscere un obbligo. Il dono, non ha niente di gratuito. S’iscrive sempre in un sistema di relazioni sociali.
La corruzione si pone al centro di queste relazioni sociali. Il confine tra ”regalo” e ”corruzione” è estremamente fluido, in quanto non si capisce mai bene qual è il limite a partire dal quale i regali diventano un ”tentativo di corruzione”.

Spesso le società costruiscono delle vere e proprie graduatorie di valore per porre dei limiti a questo (si può ricevere un regalo ma che abbia valore inferiore ai 100 euro, ad esempio) e procedure per normare il flusso dei presenti natalizi. Ma il punto rimane. Non esiste ben delineata una linea di demarcazione.

Citando i concetti elaborati da Mauss, l’autore del saggio, definisce la corruzione ”come un puro scambio di doni e contro doni” e in quelle società del ”dono” appunto, potrebbe dirsi che è la corruzione a diventare la norma. Un individuo sociale ha solo tre obblighi: dare, rendere, ricevere. L’individuo si trova inserito in una rete sociale complessa in cui è al tempo stesso donatore e ricevente: è un circolo in cui una volta entrati non si esce più.

Non è mai una questione di soldi ed anche nelle nostre società non è solo una questione di soldi, come è ben esemplificato nella prima scena del Padrino, in cui Amerigo Bonasera chiede aiuto a Don Vito offrendogli denaro per un omicidio e il Padrino gli risponde ”Tu non mi offri la tua amicizia. Tu non pensi nemmeno a chiamarmi padrino”. Don Vito gli darà ascolto solo quando Amerigo Bonasera gli bacerà la mano promettendo di rendergli il favore ”gratuitamente”, quando gli verrà richiesto.

Insomma la corruzione è presentata come un sistema di relazioni sociali all’interno del quale gli operosi agiscono nel mondo. Questo tema è il cuore della seconda parte del libro che parla non più della società ma dell’individuo. E il tema vero di tutto il saggio è qui rappresentato nella sua forma più dilatata e chiara che travalica il senso stretto della corruzione, cui siamo abituati a pensare. È nella descrizione della personalità di Talleyrand che si raggiunge il culmine. Nel suo stile è condensato il significato più alto e condivisibile della corruzione.

Il suo carattere, ci racconta l’autore, è una miscela d’impassibilità, sveltezza e moderazione. Tre pregi che svelano il senso più profondo della corruzione intesa come motore del mondo. L’impassibilità che permette di moltiplicare le morali, servendo tutti i regimi, facendo del corrotto il crogiolo delle opinioni altrui e prendendo il posto dell’immoralità. La sveltezza che non permette al corrotto di scommettere sul lungo termine, perché i rapporti di forza, che definiscono la sua posizione, si evolvono. E non gli permette neanche di agire troppo in fretta: il miglior offerente non è necessariamente il più affidabile. Deve quindi scegliere un tempo intermedio che è il fluire del momento opportuno. Deve sposare dunque la costante contemporaneità. La moderazione che fa del corrotto, comprato da tutti, un ossessionato dall’equilibrio. Qui sta tutto il senso della corruzione. Qui è svelato il segreto del perché ognuno di noi, almeno un po’, può definirsi corrotto e corruttore.

È necessaria l’impassibilità, lo scegliere indifferenti il cavallo su cui puntare per arrivare al proprio obiettivo. È necessaria la sveltezza, intesa come l’agire hic et nunc, nel presente, inserendosi nel fluire del tempo. È necessaria la moderazione, per capire come muoversi tatticamente cercando il compromesso per veder realizzato il proprio disegno strategico. Alla fine ogni azione del nostro vivere è corruzione. E Talleyrand rappresenta, nella sua descrizione di corrotto, il volto di ognuno di noi, immerso nel suo tempo.

Contrapposto a lui ritroviamo il puro, l’incorrotto che, per non essere oggetto della corruzione, decide un’inanità che lo porta all’inazione, al non volersi mai sporcare le mani, al porsi al di fuori del proprio tempo, guardando avanti o indietro non importa, impigrendosi in attesa di un mondo di incorrotti che non verrà.
Non verrà perché la corruzione alligna in ogni forma di potere anche la più piccola e un regno futuribile di ”catari” nascerà anch’esso segnato dalla corruzione.

Talleyrand è il contemporaneo, che agisce nel suo tempo, che è attivo e in movimento. Negli atti che compie si sporca le mani. È il pragmatico d’azione che si contrappone all’idealista immoto. È l’attuale mobile che si contrappone all’inattuale immobile.

Con un altro esempio potremmo sperimentare la corruzione in ogni nostra espressione. Parlare, esprimere un pensiero è mutilazione del pensiero stesso, è corruzione del rarefatto mondo che ci portiamo dentro. Il pensiero, chiuso nella nostra testa è solipsista ed incorrotto, vive in un altro tempo che non è il flusso del momento. Esprimerlo significa insozzarlo con un atto che lo corrompe. È corruzione. Una corruzione vivificante, perché ci permette di interagire con gli altri e di porci come entità agenti e fattive. Sbaglia chi crede di potersi sottrarsi a questa situazione, confinandosi nell’immobilismo incorrotto della sua purezza. Conservarsi per tutta la vita, intatti, non contaminati, è solo atteggiamento consolatorio.
Quello che abbiamo preservato in vita ci verrà tolto in punto di morte.

Questa è la magnifica terza parte che conclude il saggio. La nostra purezza non ci impedirà di essere violati.
La corruzione della carne si prenderà, con la putrefazione, un corpo che non avremo messo mai a disposizione della vita. Ci strapperanno, non c’è scampo, quella verginità cui non abbiamo mai voluto rinunciare.
Restituiremo ai vermi e alla corruzione un corpo intatto, mai usato, incorrotto, subito preda dello sfacelo.
E questa verginità che nulla ha a che fare con la vita trova anche corrispondenze nella sfera sessuale.
L’autore termina il suo saggio con una serie di coincidenze, neanche tanto strane.

È curioso, ci dice, che l’amatore che si spende con le sue amanti, corrompendole e corrompendosi, sia chiamato viveur, colui che vive. E la prostituta che ammalia i suoi clienti, corrompendosi e corrompendoli, è appellata come mondana, la donna di mondo, che vive nel mondo o alternativamente come una donna che ”fa la vita”, colei che vive. Così, aldilà delle condanne moralistiche, bisogna confrontarsi con la corruzione e riconoscere che è il motore del mondo. È lo scotto che dobbiamo pagare, giocandoci la nostra integrità inane, alla vita. È l’azione. È la corruzione. È l’unico motore degradante che ci permette alla fine di vivere e, come dice il poeta, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, che non eravamo vissuti.

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