JFF PLUS: Online festival, le trasposizioni cinematografiche

Al JFF PLUS: Online festival ONE NIGHT (2019) di Shiraishi Kazuya e altre recentissime trasposizioni cinematografiche da pièce teatrali, bestsellers, manga, favole per bambini e racconti brevi made in Japan

One Night (2019) da una pièce teatrale di Kawabara Yuko

Gon, the Little Fox (2019, corto animato in Stop Motion) da una storia della letteratura per l’infanzia scritta nel 1932 da Niimi Nankichi

Production I.G Short Animation: The Girl from the Other Side (2019, corto animato della Production I.G) dall’omonimo manga di Nagabe

Caffè Funiculi Funicula (2018) dal bestseller Finché il caffè è caldo di Kawaguchi Toshikazu

Little Nights, Little Love (2019) da un racconto breve di Isaka Kotaro

 

Il cinema, si sa, oltre che sprigionare dalla fantasia, dai sogni o da visioni distopiche di registi e sceneggiatori, trae spesso ispirazione da fatti di cronaca, personaggi della storia o dalla letteratura. In Giappone capita spesso che siano i manga o i best seller a essere fonte di ispirazione per i film ed essendo il popolo giapponese un popolo di accaniti/fervidi lettori è abbastanza normale che gli stessi affollino (in tempi pre-Covid) le sale cinematografiche spinti dalla curiosità di vedere la resa cinematografica o di ritrovare i personaggi conosciuti nel corso delle loro letture. Nella selezione del JFF Plus: Online Festival si contano diversi film tratti da manga, romanzi e pièce teatrali made in Japan e ci piace analizzarne alcuni più da vicino.

Dal teatro trae spunto la sceneggiatura e il riadattamento per il grande schermo di One Night (2019) di Shiraishi Kazuya, tratto dall’omonima pièce scritta nel 2011 dal drammaturgo Kawabara Yuko, che portava in scena il sofferente personaggio di una madre assassina costretta a lasciare da soli i suoi 3 giovani figli – Yuji, Hiroki e Sonoko – per scontare 15 anni di carcere, dopo aver confessato l’omicidio del violento marito, proprietario di una piccola compagnia di taxi.

La sceneggiatura teatrale di Kawabara è stata smontata, rimaneggiata e adattata alle esigenze cinematografiche del film dal regista stesso e dallo sceneggiatore Takahashi Izumi, che è riuscito nella delicata operazione di dilatare spazi e ridistribuire l’intensità emotiva del fatto tragico all’origine della storia su più personaggi.

L’attenzione del testo teatrale era concentrata sulla madre Koharu, sul suo dramma interiore, sulla sofferenza di convivere con un marito violento, sulla decisione di liberare i figli da un padre manesco e irascibile, mentre Shiraishi la sposta sul figlio minore, Yuji, interpretato nel film da Sato Takeru, cresciuto con un forte rancore per la mamma e allontanatosi anche dai fratelli. Vista la centralità del personaggio materno nella pièce, il ruolo di Koharu era comunque da affidare a un’attrice dalla grande forza interpretativa e la scelta è ricaduta su Tanaka Yuko, molto amata in Giappone e più volte premiata per la sua recitazione in ruoli minori, compresa la candidatura come miglior attrice non-protagonista all’Asian Film Award proprio per il ruolo della madre assassina in One Night (noi la ricordiamo anche nel commovente ruolo di madre nel film Tokyo Tower: Mom and Me, and Sometimes Dad di Nishitani Hiroshi, uscito nel 2006, e per l’attuale partecipazione in un ruolo minore nella serie Midnight Diner su Netflix).

Nell’interessante conversazione con Mark Schilling (disponibile sulla piattaforma durante tutta la durata del Festival), il regista spiega di aver illustrato a Tanaka il ruolo tormentato che avrebbe dovuto interpretare e quale immagine di madre avevano in mente lui e lo sceneggiatore Takahashi; l’attrice sembra aver incamerato quell’immagine che le avevano suggerito nel primo colloquio, restituendola mirabilmente nel corso delle riprese, scena dopo scena. Nella pièce teatrale la scenografia era composta di un piccolo set: una stazione di taxi da un lato, la casa dove abitava la famiglia dall’altro e al centro un cortile. Il regista Shiraishi desiderava che la storia si sviluppasse in spazi un po’ più ampi e che il dramma si concentrasse maggiormente sui vari componenti della famiglia.

Il tragico fatto vissuto nell’infanzia si ripercuote infatti, in un modo o nell’altro, nelle vite di tutti e tre i fratelli, sebbene sia il minore Yuji a ostentare maggior rancore e dolore. Molto intensa anche l’interpretazione di Matsuoka Mayu nel ruolo della figlia Sonoko, colei che più dei fratelli sembra agire per una riconciliazione familiare. Regista e sceneggiatore del film hanno inoltre lavorato molto sui dialoghi. Quelli troppo teatrali sono stati adattati al linguaggio di un film contemporaneo, ma le battute più interessanti recitate a teatro le hanno volute mantenere anche nella trasposizione cinematografica. Per es. la madre alla fine del film dice: “Tada, yoru dattandesu” ossia “Era solo una notte come le altre”. Questa battuta, che condensa una drammaticità condivisa da tutti i personaggi, è rimasta identica a quella recitata in teatro. Con One night (2019) il regista Shiraishi Kazuya si è aggiudicato il Japanese Director Award nella edizione n. 93 del Kinema Junpo Best Ten, la classifica dei migliori 10 film giapponesi stilata da una delle più prestigiose riviste di cinema dell’arcipelago.

Shiraishi Kazuya, classe 1974, è regista molto prolifico; negli ultimi 5 anni ha realizzato ben 10 lungometraggi, tra cui 2 film di crimine – The Devil’s Path (2013) e The Blood of Wolves (2018) – e il biotopic Dare To Stop Us (Tomerareruka, Oretachi wo, 2018), quest’ultimo presentato in anteprima italiana dal FEFF 21 e in seconda visione dall’Istituto Giapponese nel maggio 2018. Nelle sue opere affronta spesso il tema delle persone ai margini della società.

In One Night è presentata una famiglia che fa una vita normale, a parte il padre violento, ma in una notte cambia tutto e si ritrovano a essere emarginati, senza una seconda occasione per reintegrarsi nella società. Mark Schilling, il giornalista che lo ha intervistato per il JFF Plus, ci vede un erede della tradizione del cinema giapponese degli anni ’60 e ’70, l’epoca di rottura rispetto al mondo degli Studios, l’epoca di film di ‘guerriglia’ e di autori come Wakamatsu Koji, Oshima Nagisa, Shinoda Masahiro, Yoshida Kiju e tanti altri registi che facevano capo alla storica casa di produzione indipendente ATG (Art Theatre Guild of Japan), fondata nel 1961 con lo scopo di distribuire pellicole cinematografiche prodotte in patria o all’estero, che non avrebbero avuto spazio nei circuiti tradizionali. One Night è un film molto intenso, che indaga il mistero dell’uomo, di quell’uomo capace di uccidere la madre la mattina e il pomeriggio aiutare un’anziana a attraversare su un passaggio a livello, perché il buono e il cattivo è in ognuno di noi; non ci sono tonalità di solo nero o solo bianco, ma ci sono tante sfumature di grigio a caratterizzare l’umanità.

Veniamo a un’opera completamente diversa, Gon, the Little Fox, il corto animato in Stop Motion del regista Yashiro Takeshi. Tratto da una tradizionale favola per bambini (in giapp. dowa) dal titolo Gongitsune scritta nel 1932 da Niimi Nankichi – pseudonimo di Niimi Shohachi (1913-1943) – è la storia di Gon, una piccola volpe rimasta orfana, dal carattere piuttosto vivace, che si aggira intorno a un villaggio rovinando i raccolti, e combinando ogni sorta di guai. Un giorno ruba un’anguilla al giovane Hyoju, che l’aveva pescata nella speranza di far guarire la mamma da una malattia. Solo quando Gon apprende della morte della madre di Hyoju si rende conto di quanto il suo comportamento abbia arrecato danno e da quel giorno porta segretamente in dono al ragazzo una serie di doni, frutto della sua personale abilità e astuzia di predatore e raccoglitore di funghi, noci e di altri prodotti della natura, tra cui un meraviglioso fiore rosso. Hyoju si trova tutti i giorni questi doni in casa ma ignora chi li abbia portati.

Un giorno mentre sta per rincasare vede uscire il volpino dalla sua abitazione e gli spara. Avvicinandosi si rende conto che è proprio lui il dispensatore di doni, ma non può più rimediare. Sembrerebbe una storia triste, perché muore la madre, muore la volpe, Hyoju si rende conto che è stato un errore colpirla etc., ma il regista ci tiene a spiegare che non è così. Nel film ogni personaggio agisce e vive per raggiungere il bene, cercando di fare tutto al meglio. Il cacciatore anziano consiglia al giovane Hyoju di non esitare a sparare alle volpi perché deve difendere il raccolto per il bene del villaggio. Hyoju va in cerca dell’anguilla per il bene della madre, per curarla. Gon prende l’anguilla dal cesto e le ridona la libertà perché convinto di fare il bene dell’animale. E sempre Gon porta i doni a Hyoju per il bene del ragazzo quando capisce di aver sbagliato e lo vede triste per la perdita della mamma.

Il ragazzo spara alla volpe convinto di difendere la casa e di dimostrare così la sua determinazione a darsi da fare e agire per il bene della comunità. Il messaggio di Yashiro Takeshi è che in ogni persona c’è Amore, c’è l’istinto a fare il bene, anche se talvolta questo bene è invisibile agli occhi degli altri. E anche se ci sono percorsi che si sfiorano senza congiungersi. “Dietro tutte le storie tristi che accadono nel mondo si nascondono gentilezza, serietà e impegno per il bene” afferma il regista nell’intervista rilasciata al JFF Plus (disponibile sulla piattaforma del Festival nella sezione Talks and Events). Una fiaba che da bambini, letta sui testi scolastici alle scuole elementari in Giappone – e quindi conosciuta da tutta la popolazione – non è facilmente comprensibile. E infatti il regista non l’aveva intesa così da bambino. Rileggendola da adulto ne ha compreso il vero significato e ha sentito l’esigenza di comunicarlo ai tanti che come lui forse non sono riusciti a coglierne l’essenza profonda.

Passiamo a un film tratto da un best-seller che sta spopolando anche in italia. Parliamo di Caffè Funiculi Funicola ((Tit. orig. Kohi ga samenai uchini, 2018) di Tsukahara Ayuko, tra i titoli più attesi del JFF PLUS, che porta sul grande schermo i personaggi del libro Finché il caffè è caldo, romanzo di esordio dello scrittore Kawaguchi Toshikazu (classe 1971) diventato un caso editoriale in Giappone, dove ha venduto oltre un milione di copie. Anche in Italia il libro è da settimane ai vertici delle classifiche delle vendite, conquistando il terzo posto nella sezione della narrativa straniera (21 edizioni, 100.000 copie vendute), seguito – indovinate un po’ – da un altro titolo di Kawaguchi, Basta un caffè per essere felici, che cavalca l’onda del successo precedente e conta in italia tre edizioni in una settimana (dati del Corriere della Sera, dom 31 gennaio 2021).

Mentre il titolo giapponese del film ricalca quello originale del libro Kohi ga samenai uchini, la cui traduzione è Finché il caffè e caldo, il titolo internazionale Café Funiculi Funicula sembra voler rendere omaggio alla popolarissima canzone napoletana del 1880 composta da Turco/Denza per celebrare la funicolare che portava al Vesuvio inaugurata l’anno prima. Veniamo alla trama: Café Funiculi Funicula racconta di una caffetteria vecchio stile, con cento anni di storia, sulla quale circolano strane voci e leggende: seduti al tavolino davanti a una tazza di caffè sembra sia possibile, per una volta soltanto, rivivere un momento del passato. C’è però una regola fondamentale da seguire: il caffè va sorseggiato e bevuto prima che si raffreddi.

Per vivere un’esperienza simile bisogna fare i conti con il proprio passato e nel film si alternano quattro personaggi disposti a farlo, con quattro diverse storie, nelle quali ogni spettatore può trovare elementi di immedesimazione; frasi non dette, dissapori, persone con le quali i rapporti si sono interrotti in modo brusco o inaspettato per i motivi più vari. E se è vero che il passato non si può cambiare – neanche nella insolita caffetteria- almeno è possibile prendere coscienza del presente e viverlo con più consapevolezza e pienezza. Ne usciamo più felici, o almeno rasserenati. Ad accogliere i clienti nella caffetteria e servire il magico caffè che va sorseggiato caldo e non va lasciato raffreddare – pena trasformarsi in un’arida cliente che occupa un tavolino del cafè immersa in una lettura che la rende indifferente a ogni cosa e persona che le passa accanto – è Tokita Kazu, interpretata da Arimura Kasumi. Tra gli altri membri del cast, Ito Kentaro, Yo Yoshida e Yutaka Matsushige.

Altra trasposizione cinematografica molto ben riuscita è quella del corto animato della Production I.G The Girl from the Other Side (tit. orig. Totsukuni no shojo) tratto dal manga scritto e disegnato da Yoshida Ayumu, in arte Nagabe, pubblicato in serie sulla rivista giapponese Comic Garden (edita da Mag Garden) a partire da settembre 2015, e dal 2019 anche in Italia dalla Edizioni BD. Il corto è senza dialoghi ma le immagini giocate sul contrasto tra bianco e nero e la caratterizzazione di due mondi in netta contrapposizione non lascia dubbi sui contenuti: il mondo immaginato da Nagabe ricalca la divisione manichea tra Bene e Male o se vogliamo quella taoistica Luce/Tenebre, Negativo/Positivo. Da un lato della foresta vivono gli esseri umani – ritratti con i toni del bianco – e dall’altro gli Outsider, esseri mostruosi, ovviamente neri, che rendono nero e mostruoso tutto ciò che toccano. Unico punto di incontro e unica speranza di superamento del conflitto che tiene rigidamente separati i due mondi è la bambina, che si pone come ponte per andare oltre le diversità e, come tale, verrà protetta proprio da un Outsider.

Tratto da un racconto breve del giovane romanziere Isaka Kotaro (classe 1971) è il film Little Nights, Little Love (2019) diretto da Imaizumi Rikiya giovane regista emergente che è anche il protagonista di uno dei 5 Talk a cura di Mark Schilling realizzati in esclusiva per il JFF Plus. Imaizumi racconta nell’intervista che ha letto diversi racconti di Isaka, ma indubbiamente ce ne sono alcuni che si prestano meglio di altri a una trasposizione cinematografica, anche se il lavoro da compiere sul linguaggio è molto complesso perché lo scrittore usa un linguaggio molto ricercato che nei dialoghi cinematografici risulterebbe troppo artificiale ma che dispiace abbandonare. Così Imaizumi ha fatto sì che nel film il personaggio ‘abilitato’ a mantenere il linguaggio usato dal romanziere come standard linguistico nel racconto fosse solo Kazuma, il marito scansafatiche con una filosofia tutta sua, amico del protagonista.

La trama principale è quella che segue le vicende di Sato, giovane impiegato in una società di sondaggi, incaricato di sottoporre un questionario ai passanti di fronte alla stazione di Sendai. Il caso vuole che Saki, dopo aver accettato di rispondere al questionario, diventi la ragazza di Sato e che dopo 10 anni di fidanzamento il giovane si decida a chiederle di sposarlo. Ma altre storie di amore e di sport, che lambiscono anche i temi del bullismo e dell’autostima, si intersecano nel film e si snodano sulle note di una colonna sonora che ha per tema principale la canzone Chiisana Yoru (Little Nights) del popolarissimo cantautore Saito Kazuyoshi. Il regista afferma di aver scelto questo racconto breve di Isaya perché – a differenza della maggior parte delle sue storie pertinenti al genere mystery/thriller con protagonisti ladri, assassini o addirittura un Dio della Morte – qui parla di gente comune, persone della porta accanto e questo aspetto ha reso più semplice la trasposizione cinematografica. E proprio perché si tratta di gente ordinaria, quando gli attori nella recitazione compiono un errore che potrebbe senz’altro capitare anche a persone ordinarie, Imaizumi decide di incorporare quell’errore nel film, così come anche le cose che sfuggono al nostro controllo, perché nella vita accade proprio questo.

Tema ricorrente nel film è quello degli incontri tra le persone, sviluppato in modo divertente e anche un po’ amletico: il messaggio è che dagli incontri nasce qualcosa di nuovo, che ricorda anche il detto giapponese Ichi-go-ichi-e 一期 一 会, lett. “Una volta, un incontro” ossia “una volta nella vita”, un invito ad apprezzare qualsiasi incontro nella vita perché irripetibile; nel film l’incontro fortuito fa nascere amori e amicizie quasi fosse una felice predestinazione. E le riflessioni sull’argomento di Sato, del suo collega più anziano alle prese con una crisi di coppia e dello scanzonato amico Kazuma portano inevitabilmente lo spettatore a interrogarsi sugli incontri fatti nella propria vita.

 

Testi: Isabella Lapalorcia

Istituto Giapponese di Cultura

 

Che successo per Lefebvre: “La Fuggitiva” debutta alla grande

Un vero e proprio thriller, in cui non esistono picchi di interesse, semplicemente per via del fatto che il ritmo rimane sempre estremamente coinvolgente e intrigante. Ne “La Fuggitiva”, che si può acquistare anche su Amazon, la soglia dell’attenzione non cala proprio perché il lettore viene messo nelle perfette condizioni per non abbassare mai la guardia, lasciandosi completamente ammaliare dall’intrigo che si snoda lungo diversi luoghi.

Il personaggio del commissario Gerard

Questo romanzo di cui potete anche leggere una piccola anteprima, non ha pecche dal punto di vista deduttivo, in cui non mancano anche i momenti di riflessione del commissario Gerard. Nella narrazione si stagliano, infatti, delle vere e proprie pause, in cui Gerard riflette su parti, momenti e persone della propria vita, sia al tavolino di un bar che sul divano della propria abitazione.

Eppure, uno dei grandi pregi di Carlo Lefebvre è stato quello di non disegnare Gerard come il detective che ha sempre ragione e difficilmente commettere degli errori, tipica figura che imperversava nei primi anni che hanno caratterizzato il genere giallo. Certo, non è un caso che Gerard abbia dato il nome “Dupin” a uno dei cagnolini che ha salvato dal canile, ma in realtà la descrizione migliore per il commissario è quello di un professionista, indubbiamente competente e intelligente, ma che va a combinare, durante tutto l’arco narrativo, le abilità a livello lavorativo, l’intelligenza e un notevole spirito di osservazione.

Impossibile non affezionarsi a Gerard: arrivato ai cinquant’anni, deve convivere con due problemi, entrambi in campo sentimentale. Da una parte porta con sé le ferite legate al passato e dall’altro la grande paura di non essere in grado di innamorarsi di nuovo. E alla fine le due problematiche si fondono in una sola, che ha un nome, ovvero Michelle. La sua ex compagna, il suo grande amore che è terminato in modo brusco e improvviso, inatteso, lasciandogli in mano dei progetti di vita e anche un sentimento che non accenna a ridursi.

L’uso delle citazioni, che non scadono mai nella banalità

Uno dei tratti principali di questo bellissimo romanzo è rappresentato anche da un aspetto che solo i più attenti sono in grado di notare. Ovvero le citazioni, che non si tramutano mai in definizioni pedanti, ma che al contrario riescono a rappresentare e mettere in evidenza correttamente diverse atmosfere.

La citazione che accompagna l’aperitivo al Pérnod, che riesce ad avvicinare molto il commissario Gerard a Maigret, senza dimenticare le sue immancabili e inseparabili sigarette Chesterfield, creando un legame con il James Bond di Vivi e “lascia morire”. Citazioni tratte dalla più disparata letteratura, riprendendo vari aspetti anche multietnici, lasciando ispirare da Habib Selmi, Fatema Mernissi, André Breton, Ashley Hay, Charles Baudelaire, Robert Musil e Oscar Wild. Non mancano anche le citazioni legate dal cinema, come quelle nei confronti di Abdellatif Kechiche e Marcel Carné, così emerge anche uno stretto legame con la musica, in particolar modo con Dietrich Buxteude, Giovan Battista Pergolesi e gli Armada.

Un debutto che hanno avuto in pochi, per un libro tutto da assaporare: un romanzo che trasuda realtà e che apprezzato in ogni suo dettaglio.

Amore, scelte sbagliate e intrighi: c’è un po’ di tutto nel primo romanzo crime di Lefebvre

Alla fine gira tutto intorno all’amore: lo sanno molto bene gli appassionati di gossip, che non perdono nemmeno per un giorno le principali notizie che vengono rilanciate proprio in riferimento al sentimento più bello al mondo. Nel corso degli anni, però, abbiamo visto anche come tanti vip non sempre abbiano preso delle decisioni rispettose dell’amore. Anzi, è capitato spesse che le scelte sbagliate si sono tramutate in storie che non avevano né capo né coda, magari facendo a meno nella propria vita di persone dallo spessore morale altissimo.

Ebbene, in amore, chi commette qualche sbaglio finisce sempre con il pagarlo, prima o poi. Anche chi scappa da quelle che sono le tradizioni e i costumi che hanno accompagnato tutta la sua vita fino a quel momento, rischia di dover sempre fare i conti con il passato, nonostante magari abbia ritrovato una nuova serenità e si sia rifatto una vita. È l’esempio perfetto arriva dal nuovo romanzo “La Fuggitiva”, scritto da Carlo Lefebvre e già disponibile da qualche mese sulla piattaforma di Amazon per l’acquisto.

La Fuggitiva: da Sahar al commissario Gerard

Lei si chiama Sahar: è giovane e inevitabilmente molto bella e affascinante: eppure, sta per sperimentare sulla sua pelle come le scelte d’amore sbagliate rappresentano uno di quei conti che si devono pagare sempre fino alla fine. Un percorso ricco di colpi di scena e di tensione, che parte decisamente da lontano, per la precisione da Amsterdam.

Un percorso narrativo, di cui si può leggere un estratto sul sito dell’editore Giunti, in cui due omicidi, a prima vista completamente slegati tra loro, scuotono l’attenzione dell’ispettore Legrand, uno degli amici più fidati e di vecchia data del commissario Gerard, a capo dell’intelligence francese. Quando anche Legrand, però, perde la vita durante le indagini che stava portando avanti in un albergo di Marsiglia, ecco che deve scendere in campo lo stesso commissario che affronta in un primo momento il caso con un po’ di svogliatezza, per poi veder aumentare la propria determinazione nel voler raggiungere i motivi che stanno al base di un disegno criminale che annoda i suoi fili dall’Olanda alla Francia, passando anche per i Balcani.

Il destino che si intreccia seguendo un ritmo incalzante

Tra piste false, tracce ambigue e innumerevoli colpi di scena, l’indagine portata avanti da uno dei più stimati membri del DCRI, l’intelligence francese, si imbatterà in Sahar, che a sua volta si è trasferita dalla Tunisia a Marsiglia per seguire l’amore della sua vita, Farid, un connazionale che condivide con lei un’intensità attività politica e sociale contro il governo tunisino guidato da Ben Alì.

L’incontro tra il commissario Gerard e la bella ragazza tunisina avviene praticamente per caso, sfiorandosi, in una libreria particolarmente affascinante localizzata al porto di Marsiglia. I due, però, hanno in comune molto più di quello che si potrebbe pensare, tra delusioni d’amore e quant’altro. L’intreccio dei destini dei due personaggi, Sahar e Gerard, riprenderà praticamente sul finale del thriller, quando il percorso narrativo rischierà di avere un impatto molto grave non solamente sulle loro illusioni. Tra colpi di scena e un ritmo che riesce a essere sempre incalzante, la prima fatica di Carlo Lefebvre è da apprezzare, soprattutto per la capacità di tratteggiare i contorni di un personaggio, il commissario Gerard, che potrebbe presto diventare, come suggerito all’interno della recensione pubblicata su Contornidinoir, motivo di grande fidelizzazione con i lettori.