Quei piccoli gesti di ogni giorno che rendono la vita più bella e luminosa di Francesco Lamendola

Quei piccoli gesti di ogni giorno che rendono la vita più bella e luminosa di Francesco Lamendola

Stavo rientrando dal lavoro, stanco e un po’ di cattivo umore, anche per un fastidioso mal di gola che sembrava preludere a qualche malanno di stagione

Camminavo un po’ distratto; ma non fino al punto da non essere quasi costretto a levare lo sguardo per ammirare la chioma stupenda di una Carya: albero possente ed alquanto raro la cui chioma, non ancora sfoltita né ingiallita dai primi freddi autunnali, svettava superba contro il cielo azzurro del pomeriggio di ottobre.

La Carya è un albero nordamericano, che, da noi, si vede quasi solo negli orti botanici; oltre ad essere raro, è molto impegnativo per il giardiniere, perché quando il vento di novembre disperde la foltissima chioma, egli deve raccogliere una quantità impressionate di foglie, che formano uno spesso e fittissimo strato sul terreno e possono anche ostruire eventuali canalette di scolo.

Quest’albero si trova lungo la strada che faccio quotidianamente per recarmi al lavoro, sempre a piedi, con qualunque tempo, perché non vorrei mai privarmi del piacere di quella passeggiata, che si svolge in gran parte lungo l’argine del fiume ed offre un panorama naturale ricco e vario, con le belle montagne sullo sfondo, a incorniciare i colli fittamente coltivati a vigneto.

Ma la tappa più gradita del percorso è proprio quella che passa ai piedi della immensa Carya, che, trovandosi in posizione sopraelevata rispetto alla strada, protende i suoi rami fino ad abbracciare quelli della betulla che cresce nel giardino di fronte, sul lato opposto della strada.

Un paio d’anni prima, fermandomi come sempre ad ammirare quell’angolo incantato, non avevo potuto trattenermi dal domandare alla signora che lavorava nel giardino che specie d’albero fosse; poiché, nonostante il mio antico amore per la botanica e nonostante mi fossi portato a casa una foglia come campione, per individuarne la specie su qualche manuale, non ero riuscito a soddisfare la mia curiosità. Lieta del mio interesse per quella pianta stupenda, la signora mi aveva risposto gentilmente, ed è così che il ”mio” albero aveva finalmente un nome.

Ora stavo tornando verso casa e, alzato istintivamente lo sguardo per godere della vista di quella chioma incredibile sospesa nell’azzurro, mi ero strappato alle mie malinconie, quando ho udito una voce femminile che mi chiamava da dietro la siepe: ”Professore, professore!”. Era la signora che, vedendomi passare, ha voluto farmi omaggio della fotocopia, debitamente infilata nella sua brava bustina di plastica, delle pagine stampatele da un conoscente, in cui era ampiamente illustrata la Carya, con tanto di fotografie e di dati botanici precisi. Ed era lei che si scusava per avermi fermato per la strada: lei che, senza conoscere neppure il mio nome, come io non conoscevo il suo, aveva avuto un pensiero così squisito nei mie confronti!

Ecco, questo è un buon esempio di quei piccoli fatti della vita quotidiana che, se troppo spesso scivolano via quasi inosservati, costituiscono preziose oasi di dolcezza nell’arido deserto dei rapporti sociali, sempre più freddi e impersonali, che caratterizzano la modernità; una nota gaia e trillante, come di una campanella d’argento, nella difforme cacofonia dei rumori sgradevoli e insistenti dai quali siamo come assediati e che ci derubano del bene più prezioso: la pace del silenzio.

Il sorriso di uno sconosciuto; la parola gentile di un passante; la piccola cortesia di un gesto abituale, fatto con amore e con una speciale delicatezza: queste piccole e piccolissime cose, in realtà, fanno la differenza tra una vita totalmente disseccata dalla fretta, dall’utilitarismo e dall’efficientismo e una vita che sappia ancora gioire per la bellezza e per la soavità.
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Più passa il tempo e più mi vado convincendo che non sono le idee a fare della vita una cosa di qualità, ma solo e unicamente le persone. Ce ne sono fin troppe di idee bellissime, che però viaggiano sulle gambe di brutte persone; con il risultato che, nella storia, producono solo crudeltà e lacrime. Con le idee si può anche barare: ci si può fregiare di esse per coprire la propria meschinità, il proprio egoismo, la propria cupidigia. Non tutti si prendono la briga di grattare sotto la superficie: ma, se ci si abitua a farlo, si avranno delle grosse sorprese. Le idee sono una merce fastosa e scintillante, chiunque se ne può adornare; e così anche il corvo può vestire le piume del pavone: è solo nel rapporto personale che la maschera finisce per cadere e per lasciar vedere, nudo, il volto dell’altro.

Forse l’autentica saggezza è proprio questa: giungere a emanciparsi dalla tirannia delle idee, dalla loro sopravvalutazione, dalla loro autoreferenzialità, per scendere sul terreno concreto delle persone che vivono la vita di ogni giorno: quelle che incontriamo sotto casa, nei negozi, per la strada; quelle che ci onorano della loro amicizia; quelle che incontriamo una volta sola, magari in una città straniera, e che non rivedremo mai più.

È facile credere nelle idee: ce ne sono tante sul mercato dell’ideologia, per tutti i gusti e per tutti i portafogli: idee preconfezionate che si indossano come un vestito nuovo, o meglio come una uniforme, e stando dentro le quali si acquista il diritto di insultare, ferire, imprigionare, esiliare e uccidere i propri simili; per non parlare dei nostri fratelli minori, gli animali, dei quali così poche sono le idee che gli umani si son presi il disturbo di partorire e, quasi sempre, per giustificarne lo sfruttamento illimitato, la tortura e la morte.

Specialmente quando si è giovani, si crede facilmente a tante idee; a tutte.
Poi, l’esperienza della vita incomincia ad insegnarci che quel che conta è il cuore umano; che quello e solo quello è il criterio che dovrebbe guidarci nel difficile viaggio in mezzo ai nostri simili – difficile – beninteso – per noi a causa loro, ma anche per loro a causa nostra.

Le idee politiche, filosofiche, religiose, innalzano continuamente steccati, fissano confini, stabiliscono a priori le categorie dell’amico e del nemico; e, questo è il paradosso, quando vengono abbracciate da persone senza idee, divengono delle armi da brandire contro l’altro, delle clave per spaccare il cranio al vicino e portargli via i suoi beni o, in mancanza d’altro, la sua libertà e la sua dignità di essere umano.

Da poco tempo ho fatto la conoscenza, sulla base di una reciproca stima, di un illustre storico e parlamentare, persona coltissima e di squisita educazione. I nostri percorsi politici sono stati molto diversi e, quanto alle idee, forse sono più le cose che ci distinguono, di quelle che ci accomunano; però c’è una cosa più importante che ci unisce: la condivisione della priorità dell’uomo, dell’uomo concreto; e, come valore fondamentale, dell’onestà personale.

L’onestà è fatta anche e soprattutto di coerenza: merce oggi estremamente rara sia nel mondo della cultura che in quello della politica, dove sembra che tutti non aspettino altro che di vendersi al migliore offerente; merce che non paga, che non aiuta la carriera e tanto meno aiuta la carriera dei propri figli.

Vi sono uomini di cultura che blaterano tanto di disinteresse e di coerenza, e poi si affrettano a piazzare il figlio nel giornale importante, nella casa editrice famosa, e lo mandano avanti a forza di raccomandazioni. Vi sono uomini politici che hanno fatto della lotta alla corruzione e al familismo nepotista la loro bandiera di battaglia; e poi non esitano a candidare il proprio figlio nel loro stesso partito, con buona pace non solo della coerenza, ma anche del buon gusto e perfino dell’intelligenza degli elettori.

Che facciano pure: vi è una legge morale insita nella vita stessa, secondo la quale ciascuno riceverà in base a quel che ha dato.
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Questo credo di avere imparato alla scuola della vita, che vale molto più di tutte le università e di tutti i libri di questo mondo. E questo mi sentirei di dire ai giovani: siate esigenti e intransigenti; non badate troppo alle idee che vi sciorinano gli adulti, ma osservate se le vivono coerentemente. Avete il diritto di pretendere almeno un certo grado di coerenza. Chi prenderebbe sul serio una ecologista che se ne andasse in giro indossando la pelliccia di foca, o un preteso vegetariano che si abbuffasse di stufato di capriolo? Ebbene, per le idee politiche e filosofiche è la stessa cosa: pretendete la coerenza.

Non credete ai borghesi snob che blaterano di uguaglianza e di socialismo, né agli affaristi che si riempiono la bocca di proclami sul liberalismo e sul garantismo, mentre vogliono solo tutelare i loro discutibili traffici. E non prestate fede agli intellettuali della domenica che pontificano sulla libertà di pensiero e poi brigano e supplicano a destra e a sinistra per fare una comparsata nei salotti televisivi, da dove poi dispensarci le loro ineffabili perle di saggezza.

Non è vero che un’idea, se è buona, può dare buoni frutti; è vero, semmai, il contrario. Se una idea non è vissuta con coerenza da persone disinteressate, non è che un guscio vuoto che serve a nascondere interessi inconfessabili. Le idee viaggiano sulle gambe degli uomini; e dipende dalla qualità di questi ultimi far sì che il mondo diventi un po’ migliore o un po’ peggiore, non dalle idee che dicono di professare. Le professioni di fede non costano nulla, se non sono accompagnate da atti concreti. Nel Paese di Pulcinella e dei voltagabbana di professione, c’è bisogno di persone che vivano le proprie idee con onestà e con coerenza; e, possibilmente, con spirito di sacrificio.

Questo è stato, forse, il limite più grave del Sessantotto: l’ideologizzazione esasperata, la creazione di barriere artificiali in base ad astratte categorie ideologiche. Ci si sprangava per un Eskimo o per un Montgomery: si fiutava nell’altro un nemico in base all’abbigliamento e al taglio dei capelli: capelli lunghi, giovane di sinistra; capelli corti, giovane di destra. Quanta stupidità; e, soprattutto, quale spreco di energie! Non voglio dire, con questo, che le idee siano del tutto indifferenti. No, sono importanti; ma non contano nulla, finché non si traducono in vita vissuta. Una idea che resti solo ed esclusivamente tale, per quanto sublime, non avrebbe alcun valore effettivo per l’umanità.

Non sempre l’abito fa il monaco; lo si sa, ma poi si finisce per dimenticarlo. Si può essere progressisti, femministi e libertari a parole; e poi, in casa propria, comportarsi di fatto come i più ottusi e brutali reazionari. Viceversa, si può essere scandalosamente reazionari a parole, ma pieni di umanità negli atti concreti della vita. I giovani, per mancanza di esperienza, non se ne rendono conto e cadono spesso nella trappola delle apparenze. Non riconoscono subito il lupo che si traveste da agnello; prendono a sassate il lupo, quello che sembrava il lupo, mentre – magari – era venuto solo per aiutarli; e spalancano le porte dell’ovile al lupo vero, travestito da pecora.

Quanto agli atti mediante i quali si può riconoscere il cuore di una persona, sovente i più inequivocabili sono anche i più semplici, proprio perché spontanei. E, come dicevamo, sono i piccoli gesti di ogni giorno che rendono la vita più bella e luminosa, se rivestiti di grazia istintiva e di generosità spontanea.
In fondo, quando regaliamo un sorriso o una parola cortese, non facciamo altro che restituire altri piccoli gesti gentili che abbiamo a nostra volta ricevuto: a cominciare da quello delle mani amorevoli che ci hanno preparato, anche quest’oggi, il nostro pranzo.

Fonte Arianna Editrice

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